Un dettaglio dell'immagine promozionale di Wanted: Dead

Con l’avanzamento tecnologico e l’espansione dell’industria, i videogiochi sono diventati una cosa molto costosa. E seria. Anzi, seriosa. Le cose sono collegate. Per farla semplice, produrre videogiochi costa, un sacco, e chi ci mette i soldi per produrli vuole ridurre qualche più possibile ogni rischio connesso. Così se vent’anni fa al fianco delle grandi produzioni si potevano trovare progetti più piccoli e meno legati a logiche puramente commerciali, oggi si è creata una voragine tra i grossi titoli e piccoli indie. Di mezzo non ci sta nessuno, perché il rischio evidentemente non vale la candela: nessuno tranne Wanted: Dead

Nel suo fondamentale (davvero, non è la solita iperbole di chi scrive) Blood, Sweat and Pixels, Jason Schreier chiudeva la sua indagine sul sistema produttivo dei videogiochi affermando che il completamento di qualunque processo di produzione di un videogioco sia, di per sé, un miracolo. Nel caso di Wanted: Dead lo è senza dubbio. Io, vi giuro, vorrei essere stato presente durante le riunioni in cui il gioco è stato definito e fare due chiacchiere con chi ha deciso di investirci fino all’ultimo. Perché Wanted: Dead fa tutte quelle cose che nei giochi di oggi non si fanno più e sostanzialmente se ne frega. E fa bene a farlo.

Uno screenshot di Wanted: Dead

Wanted: Dead è una produzione di media dimensione e si vede. Il comparto tecnico è buono, ma non eccellente, e lo stesso si può dire sostanzialmente di qualunque altro aspetto. Il risultato in questo caso rischia di essere una cosa media, o ancora peggio mediocre, o persino banale. Wanted: Dead invece sceglie di essere folle. Si apre con una lunghissima scena d’intermezzo in cui presenta i suoi personaggi, un branco di ex galeotti reclutati come membri di una squadra speciale della polizia di Hong Kong, chiamata Zombie Unit e capitanata dalla protagonista Hannah Stone, riuniti intorno al tavolo di diner. Dopo una manciata abbondante di minuti in cui si parla di tutto, soprattutto di cibo spazzatura e pop culture, mentre sullo sfondo aleggia un mondo di corporazioni e cospirazioni, il manipolo viene chiamata a intervenire per sventare uno strano assalto armato nella sede di una vicina multinazionale. 

A quel punto il gioco si svela nel suo mix di sparatutto in terza persona e action a base di spada dove tutto può succedere: per capirci, ho scoperto la meccanica della copertura dietro la barriera alla Gears of War quasi per caso, nonostante mi fossi sparato tutto il tutorial in cui ovviamente non se ne fa cenno. Ma inutile pensare troppo, Wanted: Dead chiede al giocatore solo di spegnere il cervello e lanciarsi nella mischia. Non aspettarsi nulla può essere un buon approccio, ma tanto chi sarebbe pronto alle cut-scene sopra le righe, alle ispirazioni che spaziano dal pulp e Kojima, o ancora ai mini game culinari?

Uno screenshot di Wanted: Dead

Senza farsi troppe domande, Wanted: Dead è un gioco che si rischia di adorare alla follia, finendo per ignorare i suoi limiti che ci sono, inevitabilmente, a partire dalla ripetitività delle location (la prima è infinita) che stridono con la profondità a cui il mondo di gioco pare ambire. Ma alla resa dei conti interessa poco, Wanted: Dead è una splendida anomalia, il gioco più imperfetto e fuori di testa che si possa giocare in questo momento. 



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Claudio Magistrelli

Pessimista di stampo leopardiano, si fa pervadere da incauto ottimismo al momento di acquistare libri, film e videogiochi che non avrà il tempo di leggere, vedere e giocare. Quando l'ottimismo si rivela ben riposto ne scrive su Players.

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